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Immagine del redattoreVilla Solatia

L'Ottocento sull'erba e Antica Fiera di Primavera

Aggiornamento: 15 apr

L'Ottocento sull'erba e Antica Fiera di Primavera Il 4 e il 5 maggio 2024 in Villa Solatia.

Il parco della Villa ospiterà la terza edizione dell'evento che ci riporta all'anno 1859.



Con la collaborazione dell’Associazione Acrimperi, anche quest'anno si svolgerà l’annuale evento dell‘Ottocento sull’Erba che quest’anno sarà abbinato all’Antica Fiera di Primavera.

Questo evento sancisce, dopo il rigore invernale, l’apertura della bella stagione e si terrà nel parco fiorito di Villa Solatia.


La giornata del sabato 4 maggio sarà esclusiva per appassionati e rievocatori rigorosamente in abito storico, per loro alle ore 17.00, sarà allestito un tè ottocentesco per ufficiali, gentiluomini, le loro consorti e relativo seguito.

Il tè e il buffet dolce sarà servito nella barchessa della Villa.


Nella giornata di domenica 4 maggio dalle ore 10:00 alle 18:00, avverrà l’Antica Fiera di Primavera, aperta ai rievocatori e al pubblico.

Mercanti, giochi, danze e altre attività allieteranno i visitatori dell’Antica Fiera.


Per tutti i partecipanti che lo desiderano, dalle 11:00 sarà allestito un bistrot per ritirare il cestino per il picnic ottocentesco o per la merenda.


La prenotazione è indispensabile per tutte le proposte gastronomiche.

Vi invitiamo pertanto di prenotare, se interessati a partecipare all’evento anche gustando la cucina del tempo.


Il chiosco della birra a cura di Birra Ofelia sarà accessibile in ogni momento e senza prenotazione.



Programma dell’evento


sabato 4 maggio evento solo in abito storico

  • ore 15:30 - apertura L’Ottocento sull’Erba e allestimento campo militare nel parterre fronte Villa.

  • ore 17:00 - Circolo del Tè , politica e chiacchiere, sorseggiando e gustando prelibatezze dolci e salate.

  • ore 18.30 - 19.30 stage di danze ottocentesche

  • ore 20.45 - Serata danzante con cena a buffet


domenica 5 maggio evento a porte aperte dalle 10:00 alle 18:00

  • ore 10:00 - aperture dei cancelli

  • ore 11.00 stage di danze ottocentesche

  • ore 11.45 passeggiata storica con rievocatori

  • ore 14.30 stage di Danze ottocentesche

  • ore 16.00 La merenda - apertura buffet

  • ore 16.30 Chiusura biglietteria - ultimi ingressi

  • ore 18.00 Fine evento











Risorgimento a Vicenza e contesto storico

Anche Vicenza, come tutte le altre città venete e lombarde, fu coinvolta nelle dimostrazioni patriottiche che contraddistinsero il Risorgimento italiano. Le ragioni di questa rivolta trovavano le loro motivazioni nel contesto storico in cui tutte le città e le popolazioni del Regno Lombardo Veneto erano costrette a vivere nel 1848.

Con i trattati del congresso di Vienna del 1815, il territorio vicentino era diventato parte integrante di questo nuovo Regno, a sua volta satellite dell’Impero asburgico, così come lo era stato il precedente Regno d’Italia per l’Impero francese.

Quello Lombardo Veneto si caratterizzava per i due governi con sedi a Milano ed a Venezia, ognuno retto da un governatore, dove la figura di un Vicerè rappresentava l'imperatore che risiedeva a Milano. Ogni governo si divideva poi in province ed ognuna in distretti e comuni; in ogni singola provincia una delegazione di nomina governativa sovrintendeva all'amministrazione.


I cittadini erano rappresentati nel governo locale da due congregazioni centrali, a Milano e Venezia, che erano formate da nobili, proprietari e rappresentanti delle città ed erano di nomina imperiale. Anche le province avevano la loro congregazione con una composizione analoga a quelle centrali mentre ogni comune aveva un suo consiglio comunale o un convocato generale degli estimati che deliberavano sulla amministrazione straordinaria mentre a quella ordinaria provvedeva un comitato simile alle odierne giunte comunali.

Nonostante l'esistenza di questi organismi di governo locale, il potere decisionale però rimaneva saldamente nelle mani delle Cancellerie imperiali di Vienna che vegliava affinché nulla potesse turbare il suo regime assoluto e quando scoppiarono le prime rivolte, pur non eccedendo mai nelle repressioni, fece sentire il suo potere, arrestando e mandando al patibolo chi veniva sorpreso a complottare contro il governo centrale.


Le motivazioni che portarono alla rivolta furono tante e tutte molto importanti per la vita della comunità in tutti i suoi livelli: innanzitutto all’epoca esisteva una pressione fiscale indiscriminata con gli scambi commerciali che continuavano ad essere regolati dal più ferreo protezionismo e le tariffe doganali che raggiungevano anche il 60 % del valore delle merci. Sussisteva poi una mancanza della libertà che gravava sulla borghesia e sull’aristocrazia più illuminata a cui era interdetta ogni attività politica e culturale in aperto contrasto con ciò che invece succedeva nelle vicine nazioni d'oltralpe, dove il liberalismo si andava affermando sempre più sia nelle istituzioni che nel costume politico.


Sulle classi popolari invece pesava come un macigno la coscrizione militare, che era stata resa operante non per somministrare uomini ad un esercito locale ma per inquadrare i giovani lombardi e veneti nel plurinazionale esercito imperiale. In questo modo il regno Lombardo-Veneto, con la sua popolazione di circa 5 milioni di abitanti, avrebbe fornito centomila uomini alle armate austriache, uomini che peraltro potevano arruolarsi solo in fanteria, essendo precluso alle reclute italiane il servizio in cavalleria, in artiglieria o nel genio.


In questo contesto il 17 e 18 marzo del '48 a Vicenza si ebbero le prime dimostrazioni patriottiche che ottennero come uno dei primi atti della nuova Municipalità, in ottemperanza alle concessioni imperiali di qualche giorno prima, la costituzione di una Guardia Civica, istituzione tipica del Risorgimento che veniva considerata come l'organizzazione armata del popolo ed era in contrapposizione agli eserciti di mestiere ritenuti strumenti di oppressione.

Iniziò così una strenua battaglia della città che però dopo vari attacchi di alterne fortune fu costretta a capitolare sotto le offensive delle truppe imperiali austriache, capitanate dal Feldmaresciallo Radetzky ma questa sua eroica difesa venne presa ad esempio dai patrioti che ringraziarono e benedissero Vicenza a nome di tutti gli Italiani.


La cucina nel risorgimento

Prima di scoprire quali furono gli alimenti tipici che caratterizzarono la cucina in questo periodo storico, bisogna dire che nel Risorgimento, mentre qualunque altro aspetto della vita comune assumeva dei risvolti nazionalistici, il cibo fu l’unico settore dove venne a mancare completamente l’orgoglio di promuovere l’identità italiana.


Lo stesso Mazzini nei suoi progetti, non fece trasparire alcuna nostalgia per la cucina della nazione che stava per costituire, che quindi non venne mai presa in considerazione. Anzi nelle cene di gala la cucina ufficiale delle corti italiane era sempre francese e le pietanze servite, nei pranzi ufficiali, avevano tutti dei nomi altisonanti: cerf à la royale, quenelles, potage, foie gras, sourtout e fricandeau.

Le nuove creazioni erano: alla Radetzky, alla Cavour, alla Giolitti e persino la regina Margherita di Savoia diede il nome ad una pizza che col tempo diventerà famosa nel mondo.


Anche il servizio a tavola era alla francese e prevedeva svariate pietanze servite tutte insieme per esaltarne l’opulenza, perché mangiare era un modo per ostentare ricchezza e potere. Questo servizio in seguito venne presto abbandonato e sarà adottato quello alla russa, dove ogni portata veniva servita una alla volta, ancora calda ed appena cucinata e dove un ingrediente non doveva apparire due volte nello stesso menù, la cui unica eccezione era concessa al tartufo.


Quando si festeggiava con queste cene di gala brindando “Viva l’Italia” ed i menù erano scritti in francese, l’Italia era ancora divisa in regioni in cui si parlava quasi sempre in dialetto ed era ancora lontana l’idea di costruire, in cucina, un dizionario culinario comune: solo con l’avvento di Pellegrino Artusi ed il suo ricettario “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" che, molto più tardi, si inizierà a percorrere la lunga strada dell’unificazione dell’Italia gastronomica.


Nel Risorgimento poi, come in tutti i periodi storici ed a prescindere dalle differenze regionali, la cucina era diversa a seconda della classe sociale a cui era indirizzata, in quanto molti alimenti non erano accessibili a tutte le tasche.

Nelle classi più abbienti, come nella borghesia medio alta, si diffondeva sempre di più l'uso di pasta e riso così come del vino, olio e formaggi ed il pasto tipico era composto da un consommé, ovvero un brodo concentrato, a base di carne e ossa di manzo fatti bollire per almeno quattro ore, da antipasti, pietanze di carne fredda e calda e per finire dai dolci come gelati, creme, zabaione, biscotti, torte di pasticceria, frutta fresca e sciroppata.


Nelle tavole dei ceti popolari e rurali, come si può ben immaginare, non c’era la stessa abbondanza, la cucina continuava ad essere scarsa e povera di valori nutritivi e sempre molto legata alle disponibilità di cibi stagionali e territoriali, dove gli alimenti principali dei pasti erano il pane di granoturco e le minestre in cui venivano mescolate polenta, patate e legumi vari.

Ma, nonostante questa grandi differenze culinarie, anche il Risorgimento portò alla cucina un suo contributo, che all’epoca venne visto quasi come una rivoluzione: l’abbandono delle lussuose cene conviviali e di salotto, che avevano caratterizzato il secolo precedente e che lasciavano il campo a dei momenti più intimi e familiari, dove assumeva sempre più importanza il ruolo della donna che entrò prepotentemente nelle cucine, sostituendo i cuochi uomini che fino ad allora avevano scritto e preparato le ricette per le ricche dimore dei nobili.



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